La storia in piazza, Genova, 15-18 aprile 2010.
Dal 15 al 18 aprile 2010 Genova ha ospitato un’iniziativa di divulgazione della storia contemporanea che, per il capoluogo della Liguria, ha rappresentato una novità e, anche a livello nazionale, ha ben pochi paragoni per la capacità di coinvolgimento della cittadinanza e per l’abilità nel coniugare serietà scientifica e volontà di essere compresa anche dai non specialisti. Nei bellissimi locali del Palazzo Ducale, antica sede dei Dogi restaurata in occasione delle celebrazioni colombiane del 1992, si sono tenuti oltre 60 incontri, conferenze, dibattiti, eventi, il cui tema era “La nascita delle nazioni”.
Il ciclo di conferenze ha esplorato il tema della nascita, e della fine, delle nazioni europee tra Ottocento e Novecento, ed il contestuale processo di formazione e mutazione delle identità nazionali. Il periodo che maggiormente ha attratto l’attenzione dei relatori è stato quello tra la metà dell’ottocento e la fine della prima Guerra Mondiale; infatti, l’iniziativa si è inserita nel ciclo delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, che hanno preso il via con questa occasione e proseguiranno fino a tutto il 2011. Inevitabilmente, il processo di costruzione e di consolidamento dello Stato italiano ha ricevuto l’attenzione maggiore, ma non sono mancati spazi dedicati ad altre esperienze di nation building (la Germania), e all’analisi comparativa della crisi di soggetti nazionali e multinazionali (imperi Ottomano e Asburgico, stato Sovietico) e della nascita di nuove entità nazionali dalle loro ceneri.
In questo contesto non potevano mancare gli accenni alla Grande Guerra, sia dal punto di vista delle pratiche di mobilitazione delle masse (Mario Isnenghi), sia delle dinamiche di disgregazione e riaggregazione delle identità nazionali a seguito delle sconfitte (Paolo Macry) sia, più in generale, riguardo al ruolo del conflitto mondiale nel continuo processo di definizione dei confini e delle identità nazionali (Donald Sassoon). Proprio la relazione di Sassoon ha fornito una delle chiavi di lettura dell’iniziativa, seconda la quale il “vecchio continente” europeo è ben lungi da essere statico e consolidato. Nei due secoli che hanno seguito la fine dell’esperienza napoleonica, infatti, le frontiere europee hanno continuato a mutare, in un vorticoso processo di crescita e diminuzione delle dimensioni degli Stati, di accorpamento di popoli in Stati sovranazionali che, dopo pochi decenni, andavano spesso in crisi e facevano nascere nuove nazioni. Questo fatto ha dimostrato (e continua a dimostrare, basta pensare a ciò che è avvenuto in questi ultimi vent’anni nei Balcani e nell’ex URSS) la scarsa fondatezza delle teorie secondo le quali la suddivisione politica europea avrebbe chiare radici culturali e storiche, contrapposte alle divisioni spesso artificiose che hanno determinato i confini dei Paesi nati, a partire dall’inizio dell’Ottocento in Centro e America meridionale, dalle ceneri degli imperi coloniali. In nessun altro continente si è infatti assistito, in questi 200 anni, a un così vorticoso e continuo processo di ridefinizione dei confini e delle stesse identità nazionali. Quest’ultimo aspetto ha attratto l’attenzione di molti, anche in considerazione dell’ondata di particolarismo che ha colpito il continente, e in particolare l’Italia che ha assistito all’invenzione di una “identità padana” da parte della lega Nord e del suo leader, Umberto Bossi.
Questa iniziativa ha ottenuto un successo di pubblico davvero stupefacente e, per molti aspetti, difficilmente prevedibile. Nei quattro giorni le grandi sale che ospitavano gli incontri sono quasi sempre state piene, e in diversi casi gli spettatori hanno dovuto accomodarsi all’esterno e seguire gli eventi su appositi schermi. L’afflusso di migliaia di ascoltatori (molti dei quali giovani e giovanissimi), provenienti da tutta Italia, ha dimostrato che la storia può essere un efficace strumento per combattere l’abbruttimento televisivo e per generare coscienza e conoscenza a livello di massa. Sarà forse per questo che, approfittando della necessità di ridurre il deficit di bilancio, il governo Berlusconi ha drasticamente ridotto i finanziamenti a tutte le istituzioni culturali italiane, arrivando addirittura a proporre una lista di oltre 300 istituzioni cui sospendere ogni finanziamento?
Il merito di questo grande successo che, ci auguriamo, sarà riproposto negli anni futuri, va sicuramente agli enti promotori: la Fondazione Palazzo Ducale, il Comune di Genova, la Regione Liguria, la Fondazione Ansaldo, la Camera di Commercio, e al Centro ebraico Primo Levi. Ma nulla sarebbe stato possibile senza la grande capacità organizzativa e competenza storiografica del curatore scientifico, Donald Sassoon, e dei coordinatori dell’evento, Antonio Gibelli e Luca Borzani.
Irene Guerrini
Université de Gênes