Questi ultimi sette anni hanno fiorire in tutto il mondo iniziative collegate ai centenari della Prima guerra mondiale e agli eventi che hanno segnato i primi anni del dopoguerra. Convegni, conferenze, mostre, libri, hanno coinvolto gli studiosi di storia contemporanea e le istituzioni pubbliche, il mondo politico, quello dell’informazione e della cultura.
Questo è avvenuto nei Paesi dell’Unione Europea e in Gran Bretagna, e nelle nazioni extra europee che più hanno contribuito al bagno di sangue che ha sconvolto il mondo tra il 1914 ed il 1918: India, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti d’America tra gli altri. In questo contesto globale vanno anche inserite le iniziative che si sono tenute in Russia che, per le peculiarità della sua storia, non potevano limitarsi al solo conflitto mondiale ma abbracciare un arco temporale più ampio. Però, come sempre più spesso accade quando si tratta del nostro grande, e problematico, vicino orientale nella “casa comune europea”, i nostri media e le stesse istituzioni culturali vi hanno dedicato una scarsa attenzione. Oramai, infatti, Mosca fa notizia solo quando si può parlare, male, delle sue vicende politiche contemporanee.
Eppure, questi ultimi anni hanno visto giungere a maturazione un’importante evoluzione storiografica iniziata negli anni Ottanta del secolo scorso. In Russia la storia della Grande Guerra ha definitivamente acquisito una propria dimensione, originalità, e singolarità: non più semplice prodromo dell’Ottobre rosso, ma evento storico dotato di una propria autonomia. Il conflitto non viene più interpretato come il semplice prologo della rivoluzione ma, al contrario, come un evento da studiare in sé in tutte le sue sfaccettature: militari, politiche, culturali.
Quali forme hanno assunto nella Federazione russa il dibattito scientifico e quello pubblico durante questi anni?
Il fenomeno di maggior impatto visivo è sicuramente l’edificazione dei monumenti commemorativi. La Russia ha una grande tradizione novecentesca di monumentalizzazione della storia: non esiste praticamente luogo grande o piccolo dell’ex Unione Sovietica che non abbia visto sorgere almeno un piccolo memoriale ai caduti nella Grande Guerra Patriottica; nelle città ogni quartiere, fabbrica, scuola, istituzione pubblica ha una targa, un gruppo scultoreo, un elenco dei caduti. Persino il prestigioso ristorante situato nella Dom literatov (la Casa dei letterati moscovita) ospita una lapide con i nomi dei soci dell’Unione degli scrittori morti in guerra tra il 1941 ed il 1945. Questa edificazione memoriale e i valori che vi sono associati, sono sopravvissuti alla fine dell’Unione Sovietica e del Partito Comunista: ancora oggi i giovani sposi e gli studenti neolaureati moscoviti lasciano fiori presso il monumento al Milite ignoto che sorge all’ingresso dei “Giardini di Alessandro”; ancora oggi genitori e nonni accompagnano i bambini davanti ai monumenti ai caduti, in tutta la Federazione; ancora oggi il titolo di “città eroe della Grande guerra patriottica” rappresenta un ambito riconoscimento. Ugualmente, restano sui muri le targhe che ricordano gli episodi delle due rivoluzioni del 1917, e quelle che commemorano i luoghi in cui vissero o lavorarono scienziati, politici, diplomatici, intellettuali, artisti, militari ed eroi, più o meno noti, degli ultimi centocinquanta anni, con particolare predilezione per l’epoca sovietica.
In questo quadro mancava, però, il triennio della Grande Guerra. Fino a dieci anni fa non vi erano, infatti, monumenti significativi che commemorassero gli eventi e le vittime di questo conflitto. Sicuramente era un sintomo della damnatio memoriæ decretata dal potere sovietico nei confronti della “guerra imperialista”, anche se questo non aveva impedito che nel corso del Novecento la memoria del conflitto talvolta riemergesse, seppure con tempi e modalità discontinue. Nel corso degli anni Venti, infatti, era giunto a buon punto il progetto per creare a Mosca un “Museo della guerra” (con raccolta di materiali e documenti presso il Museo storico di Stato) che, pur denunciandone l’innegabile carattere antipopolare e imperialista, non ne cancellasse la memoria. Qualche anno dopo vi era stato il progetto di recuperare il cimitero di guerra nel quartiere di Sokol che ospitava le salme di soldati russi, ma anche austro ungarici e tedeschi, morti in un ospedale militare. Tuttavia, entrambe le iniziative erano state abbandonate per il mutamento degli equilibri politici all’interno del Partito e del Soviet della capitale. Nel corso dei decenni erano anche state raccolte, e persino pubblicate, alcune memorie dell’esperienza bellica che, pur se politicamente allineate, le restituivano, almeno parzialmente, autonomia storica rispetto al fenomeno rivoluzionario.
Negli anni Ottanta la ricerca scientifica aveva iniziato a dedicare sempre più spazio alla Grande Guerra, per giungere infine al grande convegno internazionale del 24-26 maggio 1994 La Prima guerra mondiale ed il XX secolo, organizzato dall’Accademia delle scienze. E da allora si erano succeduti convegni, conferenze, libri sulla Prima guerra mondiale, ma non la costruzione di monumenti. Si sono dovute attendere le commemorazioni del centenario per vedere erigere i primi grandi memoriali e a quel punto, come spesso accade in Russia, dal nulla è sgorgato un fiume di iniziative.
A Mosca i tre più importanti monumenti sono, in ordine cronologico di costruzione:
- il memoriale situato in un piccolo parco pubblico del quartiere di Sokol. Ê un memoriale semplice, inaugurato nel 1998 recuperando anche alcuni elementi del vecchio cimitero militare;
- il grande monumento costruito nel Park Pobedy (Parco della Vittoria), all’inizio del lungo viale pedonale che conduce alla Poklonnaja Gora, la “Collina degli inchini” sulla quale sorge il principale Museo-Memoriale della Grande guerra patriottica del Paese, detto anche Museo della Vittoria. Si tratta di un bassorilievo di grandi dimensioni, con figure a grandezza naturale, che ritrae soldati semplici e ufficiali che caricano il nemico. L’elemento più importante è però la sua posizione, che riveste un grande significato perché colloca la Prima guerra mondiale nell’attuale processo di costruzione di un nuovo immaginario e di una nuova identità nazionale per la Russia, postsovietica ma non completamente omologata al contesto euro-americano. Il monumento ha infatti una collocazione baricentrica nel rettifilo che collega l’arco trionfale progettato nell’Ottocento per commemorare la vittoria russa su Napoleone (si dice che sorga dove Bonaparte attese invano la resa russa), e il Memoriale costruito tra il 1986 ed il 1995 per eternare il ricordo della Seconda guerra mondiale. Ê un monumento di tipo tradizionale che, per la resa dei personaggi, vuole eternare la capacità di resistenza e di eroica sopportazione del soldato russo, quasi a costituire il fil rouge dell’esperienza bellica del Paese, rappresentata come una costante difesa contro gli attacchi che giungono da ovest. Questo monumento, come d’uso dedicato “agli eroi”, è stato inaugurato il 1° agosto 2014 dal presidente Putin;
- il monumento dedicato agli eroi delle due guerre mondiali, eretto all’ingresso dell’edificio del Ministero della difesa. Anche in questo caso, gli eroi del conflitto 1914-1917 (e non genericamente i caduti) sono pienamente reintegrati nella tradizione bellica del Paese che a tutt’oggi, nonostante la rivalutazione della storia militare presovietica, continua comunque ad articolarsi intorno all’epopea della Seconda guerra mondiale.
L’erezione di monumenti non è però patrimonio della sola Mosca.
A Puskin, nell’area che ospita il famoso Palazzo di Tsarskoje Selo voluto da Caterina la Grande a 25 chilometri dalla capitale imperiale di San Pietroburgo, è stato allestito il principale museo russo della Prima guerra mondiale, in un contesto indissolubilmente legato alla storia della Russia imperiale e della dinastia Romanov.
Ma l’operazione non ha coinvolto solamente le due principali città del Paese, poiché quasi tutti i centri maggiori, perlomeno nella Russia europea, ospitano almeno un monumento.
Tra gli altri, è da citare quello di Kaliningrad, la Königsberg tedesco-prussiana che i sovietici ottennero nel 1945 con quella parte della Prussia orientale che non fu consegnata alla Polonia, e che oggi costituisce l’oblast omonimo. Ma l’annessione fu conseguente alla Seconda e non alla Prima guerra mondiale e, tra il 1914 ed il 1917, la città rimase sempre saldamente in mano tedesca. Non fu lontanamente minacciata dai combattimenti, pur costituendo il principale centro militare ed amministrativo dello schieramento bellico tedesco contro la Russia, l’Ostfront, e, tra il 1919 ed il 1921, dell’azione della Repubblica di Weimar nel caotico contesto baltico. Nonostante ciò, la Federazione Russa ha ritenuto che fosse importante eternare la memoria nazionale della Grande Guerra anche in questa città, oggi incuneata tra Lituania e Polonia, nazioni ostili e appartenenti alla OTAN. E la collocazione del monumento, anch’esso convenzionale, è altamente significativa: alle spalle ha un tratto delle imponenti fortificazioni ottocentesche prussiane, mentre di fronte si trova il memoriale ai combattenti della Seconda guerra mondiale che, invece, ebbe uno dei suoi eventi conclusivi proprio nel sanguinoso assedio di Königsberg nell’aprile 1945. Il complesso, che ritrae soldati, ufficiali, e una crocerossina che consola un combattente morente, è rivolto verso il monumento ai soldati di tutte le specialità dell’Armata Rossa, e tra i due memoriali è stata edificata una cappella ortodossa.
Un altro importante monumento sorge, all’altro estremo della Russia europea, a Rostov sul Don. La città fa parte dello Stato russo sin dalla fondazione nel 1749 e non è stata interessata da operazioni militari fino a dopo il trattato di Brest-Litovsk, ma anch’essa si trova in una posizione geopolitica critica, prossima al confine ucraino e, perlomeno per le dimensioni russe, alla contestata regione del Donbass. E questa collocazione potrebbe aiutare a comprendere perché nel territorio dell’oblast siano stati eretti altri cinque monumenti.
Il recupero della memoria del conflitto ha seguito anche i sentieri della ricerca storica, con convegni, anche internazionali, organizzati in tutto il territorio. Per quanto riguarda la capitale sono da ricordare il ciclo di convegni organizzato, tra il 2012 ed il 2018, dall’università privata IIUEPS, e quello dal titolo La Prima guerra mondiale: prologo del XX secolo, promosso dall’Accademia delle scienze e dall’Associazione russa degli storici della Prima guerra mondiale dall’8 al 10 settembre 2014. A queste iniziative occorre aggiungere la grande mostra La Prima guerra mondiale. L’ultima lotta dell’Impero Russo, tenuta dal 22 agosto 2014 all’8 febbraio 2015 nei locali dell’ex Museo centrale di Lenin sulla Piazza della Rivoluzione, e quella dal titolo Mosca durante la Prima guerra mondiale aperta tra il 1° agosto e il 30 ottobre 2014 in un’ala del Museo di Mosca (Zubovskij Boulevard), che ha ben illustrato le dinamiche politiche sociali scatenate dal conflitto nella città e nei suoi dintorni. Né è mancata la pubblicazione di numerosi testi scientifici, tra i quali il Dizionario enciclopedico della Prima guerra mondiale, edito dall’Accademia delle scienze e dall’Associazione russa degli storici della Prima guerra mondiale curato da E. Sergeev, e La Prima guerra mondiale e i destini della civiltà europea, edito dalla Facoltà di storia dell’Università statale di Mosca, e curato da L. S. Belusov e A.S. Manykina. Numerosi studiosi russi hanno poi contribuito alla redazione dell’enciclopedia on-line ad accesso libero 1914-1918- International Encyclopedia of the First World War (http://www.1914-1918-online.net/).
Nel 2017 il centenario delle due rivoluzioni non ha invece avuto un’eco paragonabile allo sviluppo degli studi legati al centenario della Grande Guerra, mentre dal 26 al 28 giugno 2019 si è tenuta a Mosca una grande conferenza legata al centenario della fondazione della Terza Internazionale, dal titolo The left alternative in the 20th century: drama of ideas and personal stories. On the 100th anniversary of the Comintern, organizzata dall’Accademia russa delle scienze e dall’Archivio statale russo di storia politica e sociale, con la collaborazione di diversi centri di ricerca europei, tra cui la Rosa Luxemburg Stifftung, l’Istituto Gramsci e l’Istituto Parri italiani, e la Fondazione Gabriel Pérì francese.
A partire dal 2018 vi sono invece state decine di iniziative scientifiche e di divulgazione relative all’intervento straniero nel corso della Guerra civile. Esse si sono svolte nelle principali città, da Mosca e S. Pietroburgo a Kazan, Kaliningrad, Vladivostok, e in quasi tutte le principali università dell’immenso Paese. A Mosca, il Museo storico di Stato, sulla Piazza Rossa, ha organizzato la principale tra le mostre realizzate in tutta la Russia.
In conclusione, possiamo affermare che in questi ultimi dieci anni la ricerca ha esplorato tutte le conseguenze della Grande Guerra e delle rivoluzioni che da essa ebbero origine, fino alla nascita dei partiti comunisti nei Paesi europei ed extraeuropei (tra febbraio e marzo almeno un paio di seminari e conferenze hanno esaminato i rapporti tra lo Stato sovietico e la nascita del Partito comunista d’Italia, il 21 gennaio 1921).
La ricerca storica russa si è andata quindi orientando sempre più verso lo studio del significato autonomo della Prima guerra mondiale nella storia nazionale e verso l’analisi degli elementi di continuità della coscienza nazionale russa, anche all’interno dell’esperienza rivoluzionaria, e riguardo al ruolo di molti intellettuali (ad esempio, i disegni di propaganda patriottica eseguiti tra il 1914 ed il 1915 da Majakovskij e Malevitch). Questo orientamento ha comportato una minore considerazione, che comunque perdura, per i fenomeni di rottura. E proprio in tal senso va collocata l’attenzione per lo studio dell’intervento straniero nella Guerra civile, che viene interpretato non solo come un’azione contro il nuovo Stato dei Soviet ma anche, e per alcuni soprattutto, come l’ennesima invasione diretta contro la nazione russa e il suo popolo.
In sintesi, una parte consistente della ricerca storica russa tende ad interpretare la storia del Paese nel Novecento dando maggiore rilevanza che in passato agli elementi di continuità (culturale, politica e militare) rispetto a quelli di rottura, anche nel contesto di radicale mutamento economico ed istituzionale inaugurato dalla rivoluzione di febbraio e definito dall’Ottobre rosso.
Per concludere questo breve articolo, voglio ringraziare i professori Evgeny Yurevich Sergeev e Valerij Petrovich Ljubin per le informazioni che mi hanno cortesemente e generosamente fornito.
Marco Pluviano, avril 2021